un po' di storia

"Parabola di L.", Cantù, Teatro San Teodoro, 1969,

un happening dedicato al Lavoro, al Legno, alla Lira, ecc. ecc.

 

Intorno alla metà degli anni sessanta l'artigianato del mobile subisce una crisi violenta: l'industria avanza e schiaccia le botteghe artigiane a conduzione familiare. La crisi economica si trasforma presto  in crisi culturale e morale. Un gruppo di studenti e operai di Cantù decide di aiutare gli artigiani a capire le ragioni della crisi con uno strumento insolito per il luogo e per i tempi e che solo allora poteva essere considerato pertinente a questa funzione: il teatro. Sergio Porro allestisce così, nel 1967, uno spettacolo "Le Permanenti" che, sotto la forma della commedia aristofanea, trasmette violenti contenuti di polemica sociale. L'effetto è dirompente. Il gruppo decide di ritornare sull'argomento con un secondo spettacolo, "Parabola di L.", del 1969, un happening che, risentendo degli influssi dell'avanguardia americana (soprattutto il Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina, il Bread and Pappet, l’Open Theatre di Chiking), testimoniava il tentativo di coinvolgere il pubblico in un lavoro manuale come esperienza liberatoria: si piantavano chiodi, si piallava, si cospargevano di trucioli i corridoi della sala, si bruciava incenso, ecc. Intanto il gruppo cerca di meglio definire il proprio rapporto con il teatro: nessuno è professionista o vuole diventarlo, nessuno intende fare scuole di recitazione: si è nelle condizioni migliori, insomma, per ripartire da zero ed elaborare, in qualche modo,  un proprio stile teatrale. E non a caso, nella sua protostoria, si trova perfino un Manifesto del "Gruppo Teatro Realtà e Azione" (allora si faceva chiamava così...). Oggi riconosciamo che il Teatro Artigiano è nato tra il 1969 e il 1970 come laboratorio di teatro sperimentale per desiderio di un gruppo di amici e che subito si è imposto al pubblico di importanti città ottenendo positivi riconoscimenti dalla critica ufficiale, in particolare quella più attenta alle avanguardie e agli spettacoli di ricerca (Franco Quadri, Cesare Molinari, Giuseppe Bartolucci, Ettore Capriolo, ecc.). Per tutto il decennio fino alla metà degli anni ottanta è stato invitato alle più significative rassegne nazionali (Chieri, Parma, Santarcangelo, Salerno, tanto per fare alcuni esempi tra i più rilevanti) e ad alcuni festival europei di teatro giovane e sperimentale (Zagabria, Lucerna, Villach, ecc.). Ha realizzato poco più di venti spettacoli con assoluta coerenza nell’impiego di un’attività corale, nello studio scenico delle grandi e piccole comunità, e nel rispetto delle forme del teatro povero da cui è partito per analizzare il rapporto attore/oggetto – gesto/oggetto – mimo/oggetto. Tre tesi di laurea sono state discusse intorno alla sua storia, ai suoi temi e ai suoi metodi di ricerca formale, e il poeta Antonio Porta ha scritto appositamente per il Teatro Artigiano un testo drammaturgico "La presa di potere di Ivan lo sciocco", pubblicato da Einaudi nella Collezione di Teatro.

 

una pausa dello spettacolo "La presa di potere di Ivan lo sciocco", di Antonio Porta,

al Teatro Uomo di Milano, 1974 - 1975

 

Nel 1974 il Teatro Artigiano si dà forma giuridica di Cooperativa Teatrale, la prima nel suo genere in Lombardia e, probabilmente, una delle prime in Italia. In questi anni il laboratorio suscita molto interesse e numerosi giovani chiedono di frequentarlo: spontaneamente e quasi in parallelo, si formano all'interno due gruppi con finalità drammaturgiche diverse, mirati a produrre nuovi spettacoli. E così, nel 1976, vengono realizzati "Trachis", di Sergio Porro da Sofocle e "Milarepa: i suoi delitti, le sue prove, la sua liberazione", di Peppo Peduzzi e Marzio Porro. 

 

"Aiace", da Sofocle, prova generale nello scantinato del Monastero Benedettino a Cantù, in Piazza Parini,

1980 - 1982

 

Ancora, numerosi testi di teatro d’avanguardia e contemporaneo parlano di lui, lo citano, descrivono le sue poetiche. Poco prima del 1993 vede la luce il suo spettacolo più maturo e coraggioso, un "Edipo a Colono" da Sofocle, tentato e messo in scena privo di parole (solo alcuni versi degli stasimi venivano detti agli spettatori, sussurrati direttamente in sala, come un lamento, o una preghiera…).  E finalmente, dopo una fatica durata quasi cinque anni, ecco pronto "I frutti dell’albero d’oro", suggerito da una novella di Marie-Cayhérine d’Aulnoy e subito inserito nella stagione 1998 - 1999 del Teatro Out Off di Milano. 

 

il gruppo, con gli oggetti di scena, posa per il fotografo nello spettacolo "I frutti dell’albero d’oro", da una novella di Marie-Cathérine d’Aulnoy, 1998 

 

Passano soltanto pochi mesi e il gruppo affronta la versione integrale dell’“Alcesti” di Euripide, concepita per essere rappresentata, per assurdo, non sui palcoscenici tradizionali ma in spazi diversi che possono addirittura contrapporsi: qui la sperimentazione del T.A. raggiunge momenti e situazioni incredibili, si studiano metodi di adattamento a più luoghi d’azione, si analizzano tutte le possibili messe in scena in grado di accomodarsi anche a spazi non usuali, si cercano situazioni insolite ma che abbiano un denominatore comune: l’intimità: una chiesa, un cortile, un angolo di bosco, una stradina, un appartamento in disuso, una farmacia, ecc. Dopo il debutto a Como il 22 settembre 2001, in prima nazionale (nell'ambito della 35^ edizione dell'Autunno Musicale con gran richiamo di pubblico e riconoscimento della stampa), in una fabbrica semidiroccata e in parte restaurata per diventare uno spazio-mostre, lo spazio Shed-Nuova Ticosa, l’"Alcesti" viene riproposta a Milano, al Teatro Arsenale, ospite in apertura di stagione dal 7 al 19 ottobre 2003

E piace ricordare, in questa occasione, il grande successo di pubblico e di critica...

 

"Alcesti", di Euripide, prova generale dell'arrivo di Eracle che scopre la morte della Regina di Fere, 2001

 

Ovviamente, tanto per non concedersi pause, tanto per non perdere la sua cultura per il teatro, in questo momento sta macinando nello stomaco (per il nervoso) e nella voce (per impossibili e straordinari esercizi) l' "Antigone" di Cocteau, in francese e in italiano. Naturalmente sta lavorando sull'edizione parigina, quella storica all'Atelier il 20 dicembre 1922: regia di Cocteau, scenario di Picasso, musica di Honegger, costumi di Chanel.  Ma nessuno attualmente è in grado di dire se questa "Antigone" diventerà mai uno spettacolo del Teatro Artigiano... Lo diventerà invece, sicuramente, "Ecclesía teleuta. L'ultima assemblea", una commedia ispirata alle stravaganze più avvincenti di Aristofane che, nella finzione teatrale, si annuncia scritta nientemeno che da lui catturato, paradossalmente, da idee e fatti assai più contemporanei. Uno spettacolo corale, ideato per voci soliste all'interno di più cori (coro degli uomini, coro delle donne, coro dei mariti, coro delle mogli, coro degli amanti, coro dei falli, coro dei parti, coro dei defunti, coro dei becchini e delle pale, coro dei pesci e dei topi, la Dea Peste, la Dea Voce) che riporterà alla luce antichi collegamenti tra la città di Canturio, l'odierna Cantù, e la città di Atene...  E infatti, dopo l’estate del 2005, l’avventura ha inizio con un’imponente compagnia: 14 attori (sempre in scena) e 6 aiuti (alla regia, alle luci, ai suoni, ai costumi, alla realizzazione degli oggetti di stoffa, e a tutto il resto.). Avvertita da subito la necessità di una colonna sonora, nel febbraio del 2006, il Teatro Artigiano affida questo compito a Simone Porro, un giovane musicista e compositore, che alle tastiere ottiene effetti straordinari. L’idea di tentare una possibile collaborazione è immediata e la ricerca si avvia in parallelo: azioni drammaturgiche e studi melodici si danno la mano. Il risultato finale è una musica che accompagna le azioni, che favorisce i cambi di scena, che crea sonorità diurne e notturne, di vita celeste e di bassifondi cimiteriali, una musica talvolta perfino slegata dalle scene che arriva improvvisa, come un attore aggiunto, a simulare momenti di concreta magia…

 

"Ecclesía teleutaĩa. L’ultima assemblea", di Aristofane da  Sergio Porro. Quinto episodio: In viaggio verso l'Ade.

Il debutto a Cantù alla Serramentimobili (di Ambrogio e Giovanni Viganò),

8 marzo 2008

 

I dodici pezzi scritti per l’"Ecclesía teleuta”, ora brevissimi ora lunghi, contengono i germogli di una rinnovata elaborazione musicale che Simone Porro definisce “musica panteistica” (dalla dottrina filosofica di Eraclito). Il comune lavoro ci conduce a una data importante, il 10 novembre 2007, primo anniversario di attività nella nuova sede della Pifferi & Alpi, una fabbrica storica di fabbri ferrai. Per l’occasione il Teatro Artigiano si inventa un’azione collettiva (con attori e operai) finalizzata al rapporto attore/officina gesto/officina oggetto/officina, con titolo “Il sangue dell’incudine… Un’umana mimesi”, alla fine della quale il nostro autore, naturalmente alle tastiere per tutto il tempo dello spettacolo, diffonde in prima assoluta un volantino che annuncia il Pre-Manifesto Della Musica Panteistica

 

“Il sangue dell’incudine… Un’umana mimesi”.

Spettacolo commemorativo del primo anniversario di attività nella nuova sede delle officine Pifferi & Alpi, di Alessandro e Ambrogio Pifferi, Cantù, 10 novembre 2007

 

L'anno dopo il Teatro Artigiano, come sviluppo naturale di questa azione collettiva, poetica e violenta, delicata e tragica, ma che ha dato risultati sorprendenti nell'affrontare il binomio musica-gestualità, mette in cantiere un altro esperimento: "Morfeo", un concerto spettacolo ideato da Simone Porro, senza parole, senza dialoghi, senza didascalie. L'idea base è il sonno collettivo, Morfeo (che del Sonno è figlio) con un papavero entra nel Sogno di ognuno e lo fa vivere.

 

 

"Morfeo". Concerto Spettacolo sulle Realtà del Sogno

Cantù, Officine Pifferi & Alpi, di Alessandro e Ambrogio Pifferi, 17 maggio 2008. Nell'ambito di "Artigianato Aperto" in Provincia di Como.

 

Per impersonare Morfeo è chiamata una maestra di yoga, Luisa Azzerboni, che ha già avuto esperienze in passato col Teatro Artigiano. La sfida ancora una volta è vincente: il mimo e la gestualità che per decenni hanno caratterizzato la nostra sperimentazione, anche se acerbi e scomposti, incerti e magari indecifrabili, incontrano lo yoga e si abbraccino, si fondono e i movimenti del corpo cambiano radicalmente, si ammorbidiscono, si fanno essenziali, dolci, puri…  “Il sangue dell’incudine…” e “Morfeo” danno origine a una nuova drammaturgia e gli spettacoli a venire contengono la matrice di questi esperimenti trionfanti e capaci di tante soddisfazioni. La regia dice basta al palcoscenico e al teatro tradizionale e, d'ora in poi, gli allestimenti vengono affrontati nelle officine, in fabbrica, nelle piazze, nelle palestre, nei corridoi delle scuole, nei cinema, nei parchi... Costituiscono due esempi tra i più significativi di quest’ultimo periodo di indagine spettacolare “Lux Maior” e  “Minotauros”. Il primo è un’azione collettiva finalizzata alla sperimentazione del gesto, della voce e del silenzio, tre condizioni che si manifestano in ogni angolo di una sala cinematografica (dalla balconata al palcoscenico) e sviluppano il loro epicentro in mezzo alle file degli spettatori: il pubblico è coinvolto concretamente fino a diventare esso stesso attore. “Minotauros” è uno studio drammaturgico sul Toro di Minosse, dalla nascita alla sua adolescenza, dalla giovinezza folle e spensierata fino alla disperata prigionia dopo il distacco amoroso dalla madre, analizzato poi fino alla sua morte affrontata con lucida rassegnazione, perché stanco di vivere. Allo spettacolo danno vita quasi trenta attori che convivono con macchine pesanti: camion, camion gru, ruspe, muletti, trattori, carrelli meccanici, ecc. ecc. (Ecco che ritorna l’happening, amatissima forma espressiva dal Teatro Artigiano)...

 

“Lux Maior”. Azione collettiva finalizzata alla sperimentazione del gesto, della voce e del silenzio. Gli attori-zombi, affamati, assaltano il pubblico e diventano cannibali, divorano pezzi di carne e rosicchiano ossa umane e di animali morti.

Cantù, Cineteatro Lux, 9 aprile  2009

 

 “Minotauros”. Studio drammaturgico sul Toro di Minosse. Dalla nascita fino alla morte, un'incessante riflessione sugli eventi che tanto scompiglio hanno provocato

a Creta nei primi decenni della sua storia.

Cantù, Officine Pifferi & Alpi, di Alessandro e Ambrogio Pifferi, 14 novembre 2009

 

 

Nell'estate del 2008, in seguito a una visita ai siti archeologici in Siria e in Giordania, nasce l'idea di approfondire gli studi su Baal, il Dio di Ugarit, il Dio Fenicio della pioggia e della tempesta. E' l'inizio di una nuova sfida. Nasce l'idea di uno spettacolo dedicato a questo Re contadino - siamo alle origini della storia, quattro cinque secoli prima della Bibbia - ma nulla ci può aiutare, perché non ci sono leggende, o fiabe, o film, o teatri, o testi: quel che è rimasto di lui, di scritto, sono solo sei tavolette d'argilla che registrano in carattere cuneiforme tre miti: "La lotta di Baal e Yam", "Il Palazzo di Baal" e "Baal e l'Oltretomba" . E' la partenza di una nuova sperimentazione, la più difficile, per il fatto che in assenza del parlato il Teatro Artigiano deve raccontare esclusivamente con lo scorrimento di immagini:

 

 

"Baal. Frammenti di leggenda del Dio di Ugarit"Cantù, Chiesa di Sant'Ambrogio, 16 giugno 2014

 

Ecco allora ancora tre miti, gli amatissimi miti, fin dalle origini nel lontano 1969, la passione autentica del Teatro Artigiano.

 

La lotta di Baal e Yam.  La Terra non aveva ancora un padrone. Due Dei si contesero allora tale potere: uno era Baal, signore dell’aria e della pioggia, l’altro era Yam, il drago che regnava sulle acque dei fiumi e dei mari. Lunga e tremenda fu la contesa tra loro. Alla fine Baal assesta il colpo decisivo e Yam piomba giù a terra, vacillano le sue articolazioni e la sua figura cede di schianto. Baal trascina Yam e lo smembra fino ad infliggere il colpo di grazia.

 

La costruzione del palazzo.  E’ giunto per Baal il momento della festa e sul suo sacro monte, il Sapānu, si celebra un solenne banchetto cui partecipano tutti gli Dei circondati da migliaia di capi di bestiame. Baal ordina che il suo palazzo non abbia finestre né alcuna apertura per paura dei suoi nemici. Ma il Dio Architetto Kothar lo sconsiglia perché un palazzo senza aperture taglierebbe ogni comunicazione con l’esterno. Una finestra è infatti indispensabile per far sì che agli esseri umani giungano i suoi doni, la pioggia generatrice della vita e poi, senza la “finestra sarebbe impossibile per gli uomini far giungere al loro Dio le preghiere e le invocazioni di aiuto. Così alla fine acconsente.

 

 

 

Baal e Mot “la Morte”: Dopo aver sconfitto il Dio del mare Yam e aver costruito un palazzo sulle vette del Sapānu, e dopo aver preso possesso di numerose città, Baal annuncia solennemente di non riconoscere più l’autorità del Dio Mot, la Morte. Baal allora si accoppia con una giovenca in modo da rinforzare il proprio fisico anche se il suo destino è ormai segnato. Il rituale porta nuovamente la fertilità sulla Terra, con la successiva rinascita del suo Dio, Baal. Mot non poteva ovviamente morire, essendo egli stesso la Morte. Gli è così possibile portare nuovi temibili e ciclici attacchi contro Baal che, però, ora è aiutato da tutti gli Dei dando nuova vita al mondo.

 

 

 

 

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