metodo di lavoro

1977, Palestra teatrale.  Esercizi in libertà di  Giuseppe Fratus e  Charles Oketayot )

I componenti del Teatro Artigiano non sono attori professionisti. Ciascuno svolge, anzi  deve svolgere una propria autonoma attività nel mondo del lavoro. E' questa una scelta di fondo contro i rischi della chiusura professionale: si vuole evitare, insomma, a partire singoli, che il teatro possa svilupparsi solo su se stesso e, in qualche modo, girare a vuoto; esso deve invece alimentarsi di attività quotidiane, incarnate nella storia, anche se amara. E' difficile dopo una giornata di lavoro, di studio e dopo qualche ora supplementare di attività politica, salire in scena. L'impatto con la scena, in queste condizioni non può avvenire che all'insegna del "gioco", della attività ludica spontanea e liberatoria. Questa premessa condiziona il metodo di lavoro del Teatro Artigiano e le varie fasi in cui si sviluppa. 

1)  La regia predispone, a tavolino, sia che si parta da un testo appositamente scritto, sia che si parta da un testo classico, un nuovo testo assai simile a uno normale sceneggiatura cinematografica. In questa fase si provvede ad integrare ai contenuti autonomi del testo-base i contenuti specifici e in continua elaborazione del Teatro Artigiano: i primi, sulla scena, vengono espressi per solito a livello verbale, i secondi, invece, a livello mimico-gestuale. Si tratta, con tutta evidenza, di operare su delicati equilibri semiotici.

2)  Sulla scena gli attori del Teatro Artigiano, partendo da suggestioni di quella che metaforicamente si è definito "sceneggiatura", incominciano il "gioco": una sfrenata quanto partecipata attività ludica. In questo modo il gruppo produce enormi quantità di sostanza mimico-gestuale spontanea e spesso non collegata, in prima approssimazione alle esplicite indicazioni della "sceneggiatura". In questa fase la regia non interviene direttamente: si limita a selezionare, nell'ambito della sostanza mimico-gestuale, quegli elementi che sembrano pertinenti alla stesura definitiva del "discorso" scenico.

3)  I tratti mimico-gestuali così selezionati vengono composti dalla regia in collaborazione con gli attori sull'asse sintagmatico dell'intreccio e/o del discorso. Quasi sempre la struttura così ottenuta presenta degli scarti rispetto alla "sceneggiatura" di base.

4)  Infine si procede al "congelamento" definitivo del prodotto. Le sequenze mimico-gestuali, nel loro ordine logico-narrativo, vengono fissate rigidamente e ripetute fino a perdere ogni connotazione di spontaneità e di partecipazione emotiva degli attori. Il gruppo, a questo punto, può gestire con sufficiente margine di distacco critico lo spettacolo: il "gioco" si è ormai formalizzato.

(Dalla scheda critica di Marzio Porro in:  Franco Quadri, L'avanguardia teatrale in Italia, Materiali 1960-1976, vol. II, Einaudi, 1977, pp. 676-677)  

1977, Palestra teatrale.  Esercizi  di Uccia Coffani con le mani, le braccia e il viso )

 

 

  1978, Canzoniere maligno.   Massimo Novati e Marzio Porro discutono sulle possibili varianti di una scena   

 

 

       

         1981, Aiace.  Piero Rinaldini osserva i movimenti degli altri marinai  

I principi di queste prime sperimentazioni appaiono subito chiari e si possono così riassumere:

1) abolizione del primo attore, o del protagonista, delle prime donne o del ragazzo con il borotalco in testa e, conseguentemente, di tutta la scala delle parti intermedie fino alle comparse;

2) abolizione del dialogo (è evidente la logica derivazione dal punto 1) e comunque della parola se non nei casi di passaggio narrativo o strutturale: la parola assume allora significati diversi: la frase o l’insieme delle frasi sono annunci, o didascalie, o una preghiera, ecc.;

3) abolizione delle quinte, dei fondali dipinti, delle scenografie in generale, delle luci se non quelle strettamente indispensabili, senza mai giochi cromatici o luminosi, e introduzione di oggetti, di macchine o di attrezzature a seconda dell’esigenza dello spettacolo;

4) costruzione di un coro, sempre in scena, all’interno del quale, di volta in volta, possono scaturire dei ruoli, mai fissi, o dei personaggi (anche animali) metaforici o fantastici.

Tali principi, automaticamente, li vedremo consolidarsi nel tempo e costituiranno in futuro i capisaldi su cui lavorare intorno a nuovi metodi e ricerche espressive, i capisaldi da cui partire per ulteriori approfondimenti sempre rinnovati rispetto al testo, o al pre-testo dello spettacolo (da sempre il T.A. non usa un testo, ma un copione che somiglia a una sceneggiatura cinematografica per cui qualunque testo, perfino l’Alcesti di Euripide su cui stiamo ancora lavorando, diventa un pretesto). Per quanto attiene invece più strettamente alla regia, va da sé che non si parte mai a tavolino, ma subito nello spazio d’azione preparato appositamente come richiede la messa in scena. Dopo un periodo di intensa improvvisazione intorno a un fatto espressivo che può essere narrativo, strutturale, o semplicemente emotivo (fase in cui ogni attore sperimenta più modi o tecniche di linguaggio corporale), si passa al momento successivo di organizzazione dei materiali scenici prodotti. 

Tali metodi di ricerca e sperimentazione di un proprio linguaggio teatrale che ancora oggi caratterizzano il T.A. come un gruppo assolutamente unico, almeno in Italia, perché composto da attori non professionisti – anzi ognuno deve avere una sua identità sociale – ci hanno portato a mettere in scena storie e miti appartenenti sempre a manifestazioni comunitarie, o di popolo, o di ambiente: gli abitanti di Colono, nobili e cortigiani alla corte del Re nudo, le popolazioni Maya in fuga verso lo Yucatan, gli abitanti di Trachis, i marinai di Aiace, mendicanti e signori e animali in cerca dell’Albero d’oro e, in questi giorni, le persone di Fere che respirano l’agonia di Alcesti vivendo intorno a lei nella sua reggia… Sono stati realizzati una ventina di spettacoli con assoluta coerenza nell’impiego di un’attività corale, come si diceva, nello studio scenico appunto delle grandi e piccole comunità, e sempre nel rispetto delle forme di un teatro povero da cui siamo partiti per analizzare il rapporto attore/oggetto – gesto/oggetto – mimo/oggetto. Ecco, bisogna spendere ancora due parole sull’oggetto. Credo che questa sia l’invenzione formale più interessante del T.A.: in ogni spettacolo l’oggetto appare come l’attore aggiunto, inanimato ma animato perché sempre mosso o perennemente in movimento. L’oggetto è quindi il segno im-mobile, disanatomizzato in relazione al corpo e alla sua espressione, non è mai un simbolo, è sempre una cosa concreta, cioè ciò che sembra o ciò che rappresenta. In parole povere, l’insieme degli oggetti è in grado di ri-costruire la scenografia cancellata. Alcuni di questi oggetti sono diventati negli anni veri e propri archetipi: pietre, legna secca di fiume, ossa di animali morti (ah, gli stasimi di Sofocle mai dimenticati!) funi e catene… Quindi la sperimentazione del Teatro Artigiano, per assunto, non prevede mai alcun riferimento. Ogni attore, o meglio colui che agisce, porta in scena il suo fisico e la sua voce, la sua propria identità sociale, ciò che è nella realtà incarnandosi automaticamente in ciò che interpreta.

Dunque la nostra sperimentazione non produce mai un teatro di imitazione, ma un teatro di idee.

A questo punto dovrebbero apparire fin troppo chiare le tensioni che ci spingono a una continua ricerca di nuove forme espressive, di nuove soluzioni sceniche, un nuovo modo insomma di fare teatro, ben consapevoli che ogni testo è solo se stesso e tale identità presuppone e ha bisogno di una sua propria specifica regia.

(Dall'articolo di Sergio Porro Dalle compagnie parrocchiali al teatro di sperimentazione: il Teatro Artigiano in:  Il Foglio. Quaderno della Biblioteca Comunale di Cucciago n. 1, febbraio 2000, pp. 24-31)  

 

 

 

1993, Edipo a Colono.   Elio Tagliabue pensa alle azioni finali del  Messaggero

 

 

1998, I frutti dell'albero d'oro.  Liliana Concordati (La Regina Benigna)

prova gesti di magia a favore di Sergio Riva (Il Principe Torcicollo)

1998, I frutti dell'albero d'oro.  Bruno Tortoreto (Re Fosco)

si compiace del suo nuovo copricapo regale

 

1998, I frutti dell'albero d'oro.   Tarcisio Negrini e Sergio Porro cercano di dare forma al Raccontastorie 

 

1998, I frutti dell'albero d'oro.   Liliana Concordati (La Regina Benigna), Fiorella Rovagnati (Torsolo) e Tarcisio Negrini (Il Raccontastorie)

in prova generale

 

 

2001, Alcesti.   Elena Bruno (una persona di Fere) sperimenta con le mani

possibili movimenti di ciottoli di fiume

2001, Alcesti.   Loredana Bianchi (una persona di Fere) fa bella mostra

del suo gioiello arcaico, anche cartiglio del Re

2001, Alcesti.   Tarcisio Negrini (una persona di Fere)

piange la morte della Regina

2001, Alcesti.   Bruno Tortoreto (una persona di Fere)

piange la morte della Regina

 

 

 

2007, Ecclesía teleuta. L'ultima assemblea.  Parte degli attori  (Gli apostoli con Gesù)

si trasferiscono momentaneamente a Milano, in Santa Maria delle Grazie, per una prova generale della Cena

prima dell'ultima assemblea

 

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